pensieri

bisogno di allontanarmi dalla volonta’ di riconoscere le cose, di dare loro un nome, di collocarle dentro la storia; sottrarmi alle mie proprie intenzioni per avvicinarmi ad una estraneita’ che possa diventare la mia storia. Inventare un alfabeto che consenta solo a me di leggere i colori dello spazio; di uno spazio costruito dall’ombra e dalla luce, dal suo vibrare; guardare le forme die rami senza dover riconoscere l’albero. Ma l’albero c’e’!! Certo che c’e’. E allora a chi potro’ raccontare cio’ che ho visto? Cio’ che io stessa ho fatto? Cosa sono dunque io? – Professore, e’ fantastico, – finalmente una foto dove non si capisce nulla!!

 

Emanuele Severino da “immortalità e destino“

..emergendo progressivamente dal proprio sottosuolo essenziale, il pensiero del nostro tempo si porta verso la tecnica e la spinge a volgersi a sua volta verso di esso e a costituire insieme ad esso il senso autentico e non riduttivo della tecnica – il senso che non viene scorto né dalla superficie della filosofia conteporanea, né dalla concezione ridduttiva, scientifico-tecnicistica della tecnica. Intendo dire che che la necessita’ della morte della verita’ e del Dio della tradizione occidentale mostra alla volonta’ di potenza della tecnica che essa non si trova piu’ di fronte ad alcun limite assoluto che le impedisca la dominazione del mondo. Pertanto, l’essenza della filosofia contemporanea non solo legittima e sancisce il dominio assoluto della tecnica, ma gli prepara e gli libera il campo di gioco in cui esso puo’ affermarsi; e quindi gli fornisce effettivamente quell’estrema potenza che la tecnica non puo’ avere sino a che essa crede di dover rispettare limiti assoluti e inviolabili, e in base a questa fede si rassegna a porsi come semplice strumento delle forze che si servono di essa per realizzare i loro scopi. Nella misura in cui la tecnica va costituendosi come la sintesi tra l’essenza profonda della filosofia contemporanea e le possibilita’ tecnologiche guidate dalla scienza moderna, il rovesciamento in cui la tecnica, da mezzo, diventa scopo, diventa inevitabile, ossia la tecnica e’ destinata a diventare scopo di ogni „ideologia“, di ogni Kultur, di ogni grande forza della tradizione e della contemporaneita’ dell’ Occidente; e dunque e’ destinata a diventare lo scopo della stessaZivilization, concepita sia come semplice tecnica strumentale, sia come ideologia in cui, come dice Nolte, gli uomini „vedono nel sostentamento materiale l’unica dimensione del vivere“. Separata dall’essenza della filosofia contempranea, la tecnica e’ infatti essenzialmente impotente rispetto alla tecnica che a quell’essenza e’ invece unita. In quanto cosi’ unita, la tecnica e’ lo strumento vincente a cui nessuno intende rinunciare e al quale chi lo possiede e’ disposto a sacrificare sempre piu’ se stesso, e infine tutto se stesso, si’ che l’originario padrone della tecnica – ossia tutte le grandi forze dell’ Occidente – finisce col diventarne il servitore. Ogni padrone della tecnica, in conflitto con gli altri padroni, e’ costretto infatti a potenziare sempre di piu’ lo strumento di cui si serve per realizzare i propri scopi, e pertanto il servo diventa il padrone e il padrone diventa servo. Questo rovesciamento e’ un destino, se non altro perche’ se un padrone rinunciasse al potenziamento indefinito del proprio strumento – al potenziamento per il quale egli finisce con l’assumere come scopo tale potenziamento – , allora egli diverrebbe il servo die padroni che non avessero effettuato tale rinuncia. O egli rinuncia e diventa il servo degli altri padroni; o non rinuncia e diventa il servo del proprio servo. In questo suo significato concreto, cioe’ in quanto si unisce all’essenza profonda della filosofia del nostro tempo – cioe’ al sottosuolo in cui sanno discendere pensatori come Nietsche, e prima di lui, Leopardi, e dopo lui, Gentile -, la tecnica non e’ né semplice strumento, né l’“ideologia“ della Zivilization né l’“ideologia“ della Kultur; e non e’ nemmeno nulla di „disumano“, giacche’ sin dall’inizio della nostra civilta’ l’uomo e’ stato sempre inteso come essere tecnico, anzi, come tecnica, cioe’ come centro di forza capace di coordinare mezzi in vista della produzione di scopi – e appunto in questa capacita’ consiste l’essenza autentica della tecnica. L’Occidente e’ destinato all’etica della tecnica, ossia alla volonta’ di porre come scopo di ogni agire umano l’aumento indefinito della potenza tecnica. La tecnica distrugge i grandi valori della tradizione, nel senso che li conserva come strumenti, mezzi subordinati a quello scopo. Un rifiuto della tecnica cosi’ intesa non puo’ avvenire in nome della tradizione, perche’ la tradizione e’ la volonta’ di potenza perdente rispetto alla volonta’ vincente della tecnica. In ogni sua forma – cioe’ sia nella tradizione e nella preistoria dell’Occidente, sia nella civilta’ della tecnica – la volonta’ di potenza intende dominare il divenire del mondo, e la tecnica e’ la forma di dominio suprema. A questo punto si fa innanzi il tratto decisivo del pensare. Sia pure intesa nel senso concreto che sopra e’ stato indicato, la tecnica non ha l’ultima parola. La volonta’ di dominare il divenire del mondo regge sulle proprie spalle l’intera storia del mortale. E’ un peso immane e di immane responsabilita’. Troppo smisurato perche’ lo si lasci al fondo di tutti i nostri pensieri e non lo si metta in questione. Che la volonta’ voglia avere potenza sul divenire del mondo e che il mondo sia un divenire che e’ disponibile alle diverse forme di potenza che intendono determinarlo e dominarlo, e’ qualcosa che da sempre e’ considerato come l’“evidenza“, la „verita’“ assolutamente indiscutibile. Ma proprio l’autoaffermazione di tale indiscutibile e assoluta evidenza e verita’ invita il pensiero a metterla finalmente in questione – cioe’ a mettere in questione i cuore stesso dell’esistenza del mortale sulla terra. Il pensiero che la mette in questione e’ l’apparire della forma piu’ radicale del „destino“. Questa forma non e’ il „destino“ che conduce la tecnica alla dominazione del mondo e che si costituisce all’interno della fede nell’evidenza del divenire. La forma essenzialmente piu’ radicale del „destino“ e’ il „destino della necessita’“ verso il quale si rivolgono i miei scritti, ossia e’ l’assolutamente incontrovertibile, il de-stino che – gia’ da sempre libero dall’alienazione in cui consite la fede nel divenire e nella terra che si e’ isolata dal destino – riesce ad essere quello stare che l’epistéme della verita’ ha invano tentato di essere…….